Opera Poligonale

Queste che apparentemente possono sembrare delle semplici mura sono uno dei più incredibili misteri irrisolti dell’archelogia. Queste mura, dette anche “ciclopiche” non hanno niente a che vedere con le nostre familiari mura romane costituite da blocchi di pietra parallelepipedi perfettamente squadrati e sovrapposti in maniera regolare secondo piani di posa, ossia linee orizzontali sovrapposte, la cosiddetta opera quadrata. Queste mura sono chiamate poligonali proprio perchè sono costituite da enormi blocchi di pietra, tagliati in maniera irregolare e con le superfici pefettamente combacianti come i pezzi di un puzzle. I loro incastri sono incredibilmente perfetti tanto che non si riesce nemmeno ad infilare un  foglio di carta tra di loro. L’archeologia utilizza una classificazione delle mura poligonali che prevede quattro diversi stili o maniere che esprimerebbero un’evoluzione nel tempo della tecnica:

– Nella I maniera i massi sono utilizzati come trovati in natura, senza lavorazioni o solo sommariamente sbozzati, con ampi interstizi riempiti da schegge e frammenti di rincalzo.
– Nella II maniera i massi vengono scelti con maggior cura e subiscono una grossolana lavorazione, soprattutto sui piani di posa e sulla faccia in vista. I giunti sono più precisi e gli interstizi, sempre riempiti con schegge e materiale di risulta, più piccoli. Questa tecnica veniva utilizzata in zone di pendio dove i massi venivano appoggiati al terreno per favorirne l’equilibrio.
– Nella III maniera la pietra viene lavorata, in modo che le superfici di contatto coincidano perfettamente, senza interstizi; sulla faccia in vista sono perfettamente piani, di forma poligonale si adattano perfettamente gli uni agli altri. Si cura che i piani di posa non siano troppo accentuatamente inclinati.
– Nella IV maniera i piani di appoggio tendono a divenire orizzontali, pur restando discontinui, e i blocchi tendono ad assumere una forma parallelepipeda. A volte, questa tendenza alle forme parallelepipede nei blocchi, dipende dalle caratteristiche naturali della pietra utilizzata, quando questa tende a fratturarsi secondo piani paralleli tra loro.

Questa classificazione è ampiamente utilizzata anche se ha ben poco fondamento. Dato che risulta evidente che la prima maniera non è altro che un semplice muro “a secco” che non richiede alcuna progettazione, mentre la seconda e la terza maniera  richiedono un’accurata progettazione e ciò che le differenzia tra di loro è la precisione nella tecnica di taglio e di posa. La quarta maniera non ha niente a che vedere con la tecnica poligonale ma è caso mai da ricollegare, dal punto di vista progettuale, alla tecnica dei blocchi squadrati su piani orizzontali utilizzata dai Greci e dai Romani. E’ altrettanto lampante che l’opera poligonale non abbia niente a che vedere con la tecnica construttiva dei Romani e non è una tecnica più primitiva dell’opera quadrata, anzi è di gran lunga piu evoluta. Lo dimostra il fatto che le mura poligonali sono ancora in piedi in molte cittadine del Centro Italia a differenza delle mura romane, dopo importanti sismi. Un’esempio sono le mura poligonali di Alba Fucens che sono ancora intatte nonostante il terribile terremoto che ha devastato la piana del Fucino nel 1915 ed i resti romani presenti nella città. Le mura hanno retto proprio perchè sono state progettate con criteri che le rendono antisismiche. I blocchi delle mura poligonali, si comportano come dei tasselli di un sistema elastico in grado di oscillare senza crollare, sia per i loro particolari incastri e per l’assenza di legante (malta) sia per la meticolosa scelta dei differenti pesi delle pietre, maggiore nelle file più alte, utilizzano il cosiddetto effetto di precompressione.

Molte sono le domande che suscitano queste particolari strutture.  A quale epoca risale la costruzione di queste mura? Quali popolazione avevano le conoscenze per progettare un sistema così difficile da realizzare, dall’aspetto elegante ed incredibilmente funzionale? Come venivano lavorate le pietre in maniera così perfetta e soprattutto come era possibile posare dei blocchi di pietra del peso di centinaia di chili incastrandole perfettamente fra di loro seguengo uno schema di costruzione così articolato?

Le risposte che riusciamo a darci sono poche. Non ci pare il caso di tirare in ballo le solite centinaia di uomini che spingevano, tiravano, sollevavano con funi di juta, tagliavano con rozzi strumenti e levigavano con la sabbia le superfici per rendere perfettamente combacianti, come di solito la scienza “ufficiale” fa quando cerca di dare una spiegazione facile ad un questito difficile.  A nostro avviso ci sembra molto più sensato affermare che ad oggi non si ha la minima idea di come costruzioni di questo genere possano essere state realizzate in epoche remote, appartenute ad un’antichità a noi oggi così poco nota ma tremendamente affascinante.

Per chi fosse interessato a vedere di persona queste meravigliose opere dell’uomo può visitare le cosiddette Città di  Saturno nel Lazio (Alatri, Anagni, Arpino, Atina e Ferentino), Alba Fucens in Abruzzo o fare un viaggetto nella vicina isola di Creta o nel lontano Perù (Machu Pichu, Cuzco).

 

Bibliografia:

  1. I Segreti delle Antiche Città Megalitiche, Giulio Magli, Newton Compton Editori
  2. Opera Poligonale, it.wikipedia.org

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